Salvatore Inzerillo

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Salvatore Inzerillo

Salvatore Inzerillo, soprannominato Totuccio, (Palermo, 20 agosto 1944 – Palermo, 11 maggio 1981) fu un boss mafioso di Cosa nostra, assassinato dai Corleonesi durante la seconda guerra di mafia.

Biografia

Origini e Ascesa

Cugino del boss italo-americano Carlo Gambino, uno dei più importanti trafficanti di droga di tutti i tempi a capo dell'omonima famiglia[1] e di Rosario Spatola, mafioso e costruttore edile palermitano[2], Salvatore Inzerillo venne affiliato nella cosca di Passo di Rigano, di cui divenne il capo nel 1978, succedendo allo zio Rosario Di Maggio, per poi divenire l'anno dopo il capomandamento della zona.

Il traffico di stupefacenti con gli USA e il rapporto con Bontate

Una volta divenuto il capo della sua famiglia, Inzerillo instaurò ottimi rapporti personali e d'affari con il boss Stefano Bontate, con cui si riforniva di morfina base che veniva raffinata e poi spedita negli USA, per essere rivenduta dai Gambino[3].

In particolare, Bontate si occupava di raffinare a Palermo la morfina base per trasformarla in eroina, mentre Inzerillo si preoccupava di venderla a 50mila dollari al kg negli USA, attraverso i cugini a New York, Carlo e John Gambino. In due anni Cosa nostra siciliana riuscì a guadagnare tra i 30 e i 35 milioni di dollari, mentre Cosa Nostra americana di milioni ne incassò tra i 71 e i 91[4].

I rapporti con la politica

Come tutti i boss di Cosa Nostra, Inzerillo aveva ottimi rapporti con i politici locali e nazionali, in particolar modo della DC.

Nel 1979, ad esempio, alla vigilia delle elezioni politiche, Inzerillo era stato ospite di spicco insieme al cugino Rosario Spatola di una cena elettorale in onore del ministro Attilio Ruffini organizzata dall'avvocato Francesco Reale, membro del comitato regionale della Democrazia Cristiana[5].

Il finto rapimento di Michele Sindona

A riprova del fitto insieme di relazioni politiche e sociali che poteva vantare, Inzerillo, insieme al cugino John Gambino e a Stefano Bontate, organizzò la messinscena del rapimento del finanziere piduista e bancarottiere Michele Sindona, subito dopo l'omicidio dell'avvocato Giorgio Ambrosoli a Milano.

Il collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia raccontò il 15 luglio 1991:

«Avevo sentito dire da Stefano Bontate e da altri uomini d'onore della nostra famiglia (sempre prima della morte di Bontate) che Pippo Calò, Salvatore Riina, Francesco Madonia e altri dello stesso gruppo avevano somme di denaro investite a Roma attraverso Licio Gelli che ne curava gli investimenti. Si diceva anche che parte di questo denaro era investito nella "banca del Vaticano". La stessa notizia era riferita anche a padre Agostino Coppola. Di queste cose io parlavo solo con Stefano Bontate e Salvatore Federico che erano i "manager" della nostra "famiglia". In sostanza, come Bontate Stefano e Salvatore Inzerillo avevano Sindona, gli altri avevano Gelli»[6].

Il ruolo di Michele Sindona nel riciclaggio di denaro dei soldi di Cosa Nostra venne delineato in particolare con il Processo Andreotti, grazie alle testimonianze dei collaboratori di giustizia Francesco Marino Mannoia, Francesco Di Carlo e Gaspare Mutolo: il finanziere di Patti riciclava, per conto di Stefano Bontate, Salvatore Inzerillo e John Gambino, gli ingenti proventi del traffico internazionale di stupefacenti in società finanziarie, immobili ed alberghi, tra la Florida e l’isola di Aruba[7].

In quest’ottica si spiega l’attivismo di Cosa Nostra, o meglio, delle famiglie palermitane che l’avrebbero retta fino all’ascesa dei Corleonesi, nell’aiutare Sindona con ogni mezzo possibile a salvare il proprio impero, collassato nell’estate del 1974: i boss cercavano di recuperare i propri soldi, come confidò Bontate a Marino Mannoia[8].

Così come si spiega, nella strategia ricattatoria che Michele Sindona portò avanti fino all’ultimo nei confronti di ex-amici e politici, il riferimento alla Banca Rasini come canale di riciclaggio di Cosa Nostra a Milano, nella famosa intervista a Nick Tosches, confermando la circostanza emersa nel 1983 con l’Operazione San Valentino[9], quando furono trovati diversi conti correnti intestati ad alcuni degli uomini d’onore più potenti, legati a Totò Riina, cioè alla fazione vincente della Seconda Guerra di Mafia.

Michele Sindona era così importante per le famiglie mafiose tra l’Italia e gli USA, che queste ebbero un ruolo attivissimo nel generale piano di ricatto e intimidazione a istituzioni e vertici del sistema finanziario italiano.

L'omicidio di Gaetano Costa

gaetano costa
Gaetano Costa

Il 6 agosto 1980 Salvatore Inzerillo fece uccidere il Procuratore della Repubblica di Palermo Gaetano Costa, a seguito della firma, in solitudine e senza i sostituti, dei mandati di cattura nei confronti di diversi affiliati a lui fedeli, tra cui il cugino Rosario Spatola.

Inzerillo, come riferì a Tommaso Buscetta[10], non aveva motivi di risentimento verso Costa, nonostante la firma dei provvedimenti, ma intendeva solamente avvalersi dell'occasione data dagli arresti «per dimostrare di essere tanto forte anch'egli per potersi comportare allo stesso modo dei Corleonesi».

L'omicidio da parte dei Corleonesi

L’11 maggio 1981, dopo che sui vetri blindati della gioielleria Contino era stato provato con successo il grado di penetrazione dei proiettili del kalashnikov, Salvatore Inzerillo veniva ucciso mentre stava salire a bordo della sua Alfetta blindata, in Via Brunelleschi 50[11].

Le armi usate, il kalashnikov e un fucile caricato a lupara, erano le stesse usata per l'omicidio di Stefano Bontate[12].

Gli esecutori materiali furono individuati in Pino Greco, Giuseppe Giacomo Gambino e Antonino Madonia, mentre Pino Marchese guidava il furgone con cui i killer arrivarono sul luogo dell'agguato.

L'omicidio di Inzerillo fu il secondo atto eclatante della seconda guerra di mafia[13], dopo l'omicidio Bontate. Nonostante l'omicidio del "Principe di Villagrazia", Inzerillo si riteneva al sicuro perché doveva pagare a  Salvatore Riina un carico di cinquanta kg di eroina da esportare, successivamente, negli USA[14].

A tradire Inzerillo fu Salvatore Montalto, il suo braccio destro, di cui il boss aveva iniziato a dubitare dopo l'omicidio di Giuseppe Di Cristina, senza tuttavia trarne le dovute conseguenze[15].

Indagini e processi sulla sua morte

L'omicidio di Inzerillo venne ricostruito dal Pool antimafia con il Maxiprocesso di Palermo, al termine del quale, il 30 gennaio 1992, vennero condannati in via definitiva all'ergastolo Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Michele Greco, Pino Greco, Salvatore e Giuseppe Montalto.[16].

Note

  1. Lupo Salvatore (2004), Storia della mafia siciliana: dalle origini ai giorni nostri, p. 289.
  2. op.cit.,p.366
  3. Caponnetto, Antonino (1985). Ordinanza-sentenza contro Abbate Giovanni + 706 - Procedimento Penale N. 2289/82 R.G.U.I., Tribunale di Palermo - Ufficio Istruzione Processi Penali, 8 novembre, p.1909 e ss.
  4. Attilio Bolzoni, Quando la pasta li fece tutti ricchi, la Repubblica, 2 Febbraio 2004[1]
  5. Sergio Sergi, Quei boss mafiosi quanta strada: a cena col ministro e nell'holding della droga, l'Unità, 8 maggio 1983.
  6. Ingargiola, Francesco (Presidente). (1999). Sentenza n. 881/99 contro Andreotti Giulio, Tribunale di Palermo, 23 ottobre, p. 1778
  7. Ivi, pp. 1770-2165.
  8. Ivi, p. 1779.
  9. Nell’intervista del 1985 Sindona negò di essere riciclatore di Cosa Nostra, sostenendo che la sua era «una banca dell’aristocrazia. La mafia invece si serve sempre di istituti e professionisti di second’ordine… in Sicilia il Banco di Sicilia, a volte. A Milano una piccola banca in Piazza dei Mercanti», omettendo di dire però che il suo più fidato avvocato, Mario Ungaro, sedeva nel suo CDA e lui stesso era entrato in affari con la Rasini, che controllava una quota della Cisalpina Overseas Nassau Bank. La citazione è tratta da Tosches, Nick (1986). Il mistero Sindona: le memorie e le rivelazioni di Michele Sindona, Milano, SugarCo, p. 111.
  10. Caponnetto, op.cit., p. 2379.
  11. Caponnetto, op.cit., pp. 2391-2392; p. 2543.
  12. Ivi, p. 2545.
  13. Ivi, p. 2543.
  14. Ivi, p. 2563.
  15. Ivi, p. 2557.
  16. Valente, Arnaldo (Presidente) (1992). Sentenza n. 80/92 contro “Altadonna + 268”, Suprema Corte di Cassazione – I Sezione Penale, 30 gennaio, p. 1514.

Bibliografia

  • Archivio Storico Repubblica.
  • Caponnetto, Antonino (1985). Ordinanza-sentenza contro Abbate Giovanni + 706 - Procedimento Penale N. 2289/82 R.G.U.I., Tribunale di Palermo - Ufficio Istruzione Processi Penali, 8 novembre.
  • Ingargiola, Francesco (Presidente). (1999). Sentenza n. 881/99 contro Andreotti Giulio, Tribunale di Palermo, 23 ottobre.
  • Lupo, Salvatore (2004). Storia della mafia siciliana: dalle origini ai giorni nostri, Roma, Donzelli.
  • Tosches, Nick (1986). Il mistero Sindona: le memorie e le rivelazioni di Michele Sindona, Milano, SugarCo.
  • Valente, Arnaldo (Presidente) (1992). Sentenza n. 80/92 contro “Altadonna + 268”, Suprema Corte di Cassazione – I Sezione Penale, 30 gennaio.