Camorra

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Dissi di una simil setta. La camorra infatti, nel significato generale del vocabolo, designa ben altro che l'associazione [...] Il vocabolo si applica a tutti gli abusi di forza o di influenza. Far la camorra, nel linguaggio ordinario, significa prelevar un diritto arbitrario e fraudolento.
(Marc Monnier[1])
camorra


Con l'espressione "Camorra" si indica normalmente la declinazione campana del fenomeno mafioso, attiva sin dagli inizi del XIX Secolo e radicata in maniera particolare nella città di Napoli, nel suo hinterland, nonché nella provincia di Caserta, Salerno e Avellino. A differenza della ben più famosa Cosa Nostra o della 'ndrangheta, la Camorra non ha mai avuto una struttura unitaria, se non nella sua fase originaria, ma una costellazione di Clan spesso entrati in conflitto tra loro nelle c.d. "faide". Tutti i tentativi di creare una struttura unitaria (la Nuova Camorra Organizzata di Cutolo, la Nuova Famiglia dei suoi rivali Bardellino-Nuvoletta-Alfieri, la Nuova Mafia Campana di Carmine Alfieri) fallirono totalmente. Nonostante questo, la Camorra è la più antica organizzazione mafiosa italiana, strutturatasi, a differenza delle altre due, come criminalità urbana.

Origini del nome

Sull'origine del termine "Camorra" non c'è accordo tra gli studiosi. Nel XVII Secolo il termine indicava un particolare tipo di stoffa e, poiché l'abbigliamento dei camorristi è sempre stato molto appariscente, alcuni linguisti hanno individuato l'origine in "Gamurra", un abito femminile in uso in Europa nel Tardo Medioevo e nel Rinascimento, mentre altri ancora in "Gamurri", banditi spagnoli famosi per il loro giubbotto.

La prima volta però che il termine comparve in un atto pubblico fu nel 1735, legato al gioco d'azzardo: si trattava di una "prammatica" (legge) in cui venivano autorizzate a Napoli solo otto case da gioco, tra queste "Camorra avanti palazzo", in attività sin dal XVII secolo e situata a fianco al Maschio Angioino. Che il termine indicasse un particolare gioco d'azzardo è testimoniato anche in un'istanza a re Carlo III di Borbone, dove si chiedeva al sovrano di reintrodurre tra i giochi legali "Li cotte, lo Sghizzo e la Camorra".

Va segnalato inoltre che "Camorra" in spagnolo significa "lite": "Buscar camorra" significa letteralmente "fare a botte". Vista l'influenza anche linguistica della dominazione spagnola nel dialetto napoletano, molti studiosi vi fanno risalire l'origine del termine.

Di recente un'altra interpretazione di Francesco Montuori[2], fa derivare "Camorra" da "Camerario", il gabelliere addetto alla riscossione delle tasse in molte amministrazioni italiane: la camorra sarebbe quindi una tassa e i camorristi gli esattori. Questa interpretazione si sposa bene anche con la principale attività della Camorra, l'estorsione: a Napoli "prendersi la camorra" significa infatti estorcere una somma di denaro su qualsiasi attività, attraverso la minaccia o l'uso della violenza.

Storia ed evoluzione

Le origini

camorrista di fine '800
Un camorrista di fine '800, in un disegno dell'epoca

Storicamente la Camorra si organizzò molto prima della mafia siciliana e della 'ndrangheta. Il mito della fondazione viene fatto risalire a una fantomatica riunione a Napoli, mai dimostrata, nella Chiesa di Santa Caterina a Formello, nel 1820. Quel che è certo è che l'embrione dell'organizzazione venne varato subito dopo la fallita rivoluzione partenopea del 1799, tra il 1810 e il 1820. A dimostrazione della sua primogenitura tra le altre organizzazioni mafiose, va segnalato che il termine "Camorra" era presente già nelle Procedure per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle province infettate, meglio note come legge Pica, nel 1863: il termine "mafia" entrò nel codice penale solamente con la legge n.575 del 31/05/1965 "Disposizioni contro la mafia", approvata dopo la Strage di Ciaculli.

Risale invece al 1842 uno statuto a firma di un certo Francesco Scorticelli, in cui si parla della camorra come "Bella società riformata". Il prototipo del "mafioso" della famosa commedia "I Mafiusi della Vicaria" del 1863 era ricalcato inoltre su un camorrista realmente esistito che spadroneggiava nelle carceri borboniche e "camurrìa" in dialetto siciliano significa proprio "fastidio, impiccio".

Ai tempi dei Borbone

Struttura della camorra ottocentesca
La struttura gerarchica della camorra di fine '800

Negli anni della Restaurazione borbonica, subito dopo il Congresso di Vienna, la Camorra si diede un'organizzazione che prevedeva tre livelli gerarchici: picciotto d'onore, picciotto di sgarro, camorrista. L'aspirante camorrista, prima di poter intraprendere questo particolare cursus honorum, era chiamato "tamurro". Ogni quartiere di Napoli, suddiviso a sua volta in "paranze", aveva un "caposocietà", per un totale di dodici: questi, a loro volta, eleggevano un "capintesta" generale della Camorra, ruolo che per molti anni fu egemonizzato dalla famiglia Cappuccio del quartiere della Vicaria. Ogni capo della Camorra poteva fregiarsi del titolo di "Masto" (maestro, padrone). La medesima struttura era presente anche nell'area ristretta tra Caserta, Marcianise e Santa Maria Capua Vetere (la c.d. Terra di Lavoro), ma il capintesta veniva eletto solo tra i capisocietà di Napoli. I comuni, anche capoluoghi di provincia, erano equiparati ai quartieri di Napoli ed eleggevano un solo caposocietà.

Per entrare a far parte della camorra bisognava rispondere a criteri precisi: a mero titolo d'esempio, erano esclusi dall'affiliazione gli omosessuali passivi e chiunque avesse una moglie o una sorella prostituta (anche se quest'ultimo divieto era il più frequentemente disatteso). La prova di coraggio con la quale si stabiliva l'idoneità del candidato consisteva o nell'esecuzione di un omicidio o nello sfregio di uno dei nemici dell'organizzazione. Gli sfregi col rasoio erano in particolare la punizione per chi infrangeva il codice d'onore, sia che fosse affiliato o che non lo fosse. Una volta giudicato idoneo, il candidato doveva pronunciare un giuramento di fronte a due coltelli incrociati e combattere in un duello all'arma bianca contro un camorrista estratto a sorte. I duelli con il pugnale erano il rito di passaggio da un grado all'altro nella gerarchia criminale: raramente erano duelli all'ultimo sangue, avevano uno scopo prevalentemente cerimoniale. Il pugnale restava comunque l'arma preferita del camorrista per compiere i propri delitti.

Come criminalità urbana, la camorra esercitava la sua principale attività, l'estorsione, soprattutto nelle carceri, vero luogo di reclutamento dell'organizzazione: qualsiasi attività ed eventuale disponibilità materiale del detenuto era "tassata" del 10%. Altri fronti delle attività camorristiche erano i mercati (dove veniva imposta una percentuale sulla vendita di farine, creali, frutta, pesce, carne etc.) e le case da gioco, nonché la prostituzione. A Napoli in pratica non vi era attività commerciale che non prevedesse il pagamento di una tangente alla Camorra. L'addetto agli affari economici e finanziari dell'organizzazione era il "contarulo", nominato da ciascun capososcietà alla gestione del "barattolo", dove finivano tutti gli introiti delle estorsioni.

Ogni quartiere, inoltre, aveva un suo tribunale, che si chiamava "Mamma": il tribunale supremo della città era la "Gran Mamma", presieduto dal capintesta, che in quella funzione assumeva il titolo di "Mammasantissima". Del resto, la stessa polizia borbonica assicurava impunità in cambio di tutela dell'ordine pubblico da parte della Camorra, che dopo la fallita insurrezione liberale del 15 maggio 1848 venne impiegata anche per raccogliere informazioni sulle manovre degli oppositori politici al governo borbonico.

Filo-borbonici, anzi no

Secondo quanto raccontato da Monnier[3], a metà degli anni Cinquanta il "Comitato d'Ordine" (gruppo clandestino di cospiratori patriottici anti-borbonici) strinse un accordo con la Camorra, nell'illusione di conquistarne i favori e dirigerla verso la causa dell'Italia unita: i termini dell'accordo imposti dai capi camorristi della città erano che il Comitato avrebbe dovuto versare la somma di 10mila ducati a ciascun caposocietà. Una volta ricevuto il denaro, la Camorra si preoccupò più di ricattare i patrioti, estorcendo loro altro denaro, piuttosto che organizzare "la rivolta patriottica" promessa.

Tutto ciò almeno fino al novembre 1859, quando lo Stato borbonico ordinò una grande retata di camorristi, spedendone parecchi sulle isole-prigione al largo della costa: questo, insieme ai successi in Sicilia del maggio 1860 di Garibaldi, indussero la Camorra ad abbandonare a se stesso il Regno delle Due Sicilie e a schierarsi con la causa patriottica definitivamente. Non per convinzione, ma per mantenere intatti i propri traffici criminali. Tanto che il ministro borbonico dell'Interno Liborio Romano invitò a casa sua il capintesta Salvatore De Crescenzo (Tore 'e Criscienzo), proponendogli di trasformare capisocietà e picciotti rispettivamente in commissari/ispettori di polizia e in guardie cittadine, in modo da garantire l'ordine pubblico nell'imminente arrivo a Napoli di Giuseppe Garibaldi. La nuova legittimazione in città permise ai camorristi di fare il bello e il cattivo tempo nel periodo di transizione al nuovo regime liberale.

Quando infatti il 7 settembre 1860 Garibaldi arrivò a Napoli, fu accolto da una folla straordinaria di persone, da bande musicali e dai tricolori italiani, sventolati dai camorristi stessi che fino a qualche mese prima militavano convintamente nelle fila borboniche. Camorristi che sfruttarono l'autorità temporanea incaricata di governare il Mezzogiorno in nome dell'eroe dei due Mondi per massimizzare i propri traffici criminali, in particolare l'estorsione e il contrabbando. Le dogane furono espropriate dei loro balzelli, che finirono nelle casse della Camorra: al grido "è roba d'o zi Peppe (n.d. Giuseppe Garibaldi). Lasciate passare!", i camorristi esclusero dalla riscossione dei dazi l'autorità pubblica. Le cose andavano talmente bene per l'organizzazione criminale, che domenica 21 ottobre 1860 il sì al referendum per l'ingresso nel Regno d'Italia ottenne un plebiscito tale che la piazza dove si svolsero i festeggiamenti fu chiamata proprio Piazza del Plebiscito.

Silvio Spaventa e il pugno di ferro contro la Camorra

A risanare le istituzioni pubbliche e a riportare l'ordine a Napoli fu il patriota Silvio Spaventa, veterano delle galere borboniche e profondo conoscitore della Camorra. A poche settimane dal suo insediamento come nuovo ministro dell'Interno del Regno d'Italia, Spaventa non solo ottenne l'estensione delle disposizioni della Legge Pica contro il brigantaggio anche ai camorristi, ma autorizzò il 16 novembre 1860 il prefetto di polizia Filippo De Blasio, coadiuvato dai neocommissari Capuano e Jossa, a compiere una vasta operazione volta a reprimere il contrabbando, utilizzando i carabinieri e le guardie nazionali: in ventiquattro ore oltre 100 camorristi finirono in carcere. L'opera di risanamento di Spaventa si interruppe a seguito di uno scandalo che lo costrinse alle dimissioni: nel luglio 1861 un alto funzionario di polizia, Ferdinando Mele, venne pugnalato a morte dietro l'orecchio in pieno giorno; già camorrista e reclutato nella polizia ai tempi di Romano, Mele era stato ucciso da Salvatore De Mata, un delinquente non affiliato alla Camorra, desideroso di vendetta per l'arresto del fratello. Arrestato, venne fuori che De Mata, già guardia del corpo di Spaventa, aveva ottenuto da lui un posto alle Poste, dove non si presentava mai. Al suo posto arrivò il generale Enrico Cialdini, che attenuò decisamente il fervore anti-camorristico del suo predecessore.

1863: la legge sul domicilio coatto

Cacciato da Napoli, Spaventa divenne viceministro dell'Interno a Torino l'anno successivo, ottenendo che la nuova commissione parlamentare d'inchiesta sul cosiddetto "Grande Brigantaggio" si occupasse anche di Camorra: il risultato fu l'istituzione nell'agosto 1863 della legge sul domicilio coatto, per la quale era possibile il trasferimento di qualsiasi persona considerata sospetta in uno dei bagni penali situati nelle isole al largo della costa italiana. Il risultato fu tutt'altro che soddisfacente: i camorristi, lungi dall'essere impossibilitati dall'esercitare la loro funzione criminale in carcere, lo trasformarono in un vero e proprio luogo di reclutamento e iniziazione, come già avevano fatto sotto i Borboni.

Il processo Cuocolo: lo scioglimento della Camorra

Una foto d'epoca del Processo Cuocolo (Archivio Mauro Galeotti)

Nonostante il clima di belligeranza del nuovo Stato liberale, la Camorra continuava ad operare a Napoli e Provincia. Fino al 6 giugno 1906, quando furono uccisi Gennaro Cuocolo, basista di furti di appartamenti, e sua moglie Maria Cutinelli, ex-prostituta. Ucciso sulla spiaggia di Torre del Greco per essersi appropriato della parte di bottino spettante ai complici finiti in carcere, il caso fu l'occasione per celebrare un "maxi-processo" alla Camorra napoletana che, in assenza di qualsiasi tutela liberale, si concluse con la condanna di oltre 30 pezzi da novanta della Camorra. Fu così che la sera del 25 maggio 1915, nelle Caverne delle Fontanelle, nel popolare rione Sanità, l'organizzazione venne sciolta dai superstiti, presieduti da Gaetano Del Giudice.

La rinascita nel Secondo Dopoguerra

Se la mentalità e i comportamenti camorristici continuarono a vivere, anche sotto al fascismo, una riorganizzazione della Camorra si ebbe solo nel Secondo Dopoguerra, con lo sbarco degli Alleati e le infinite possibilità di guadagno illegale procurato dal mercato nero. Anche in questo caso l'assenza dell'autorità statale sarà fondamentale nel consolidamento del potere camorristico. Il ritorno della democrazia, gli appuntamenti elettorali, il suffragio universale e la preferenza multipla ridiedero alla Camorra il suo ruolo di collettore di voti: il primo a trarne beneficio fu Achille Lauro, sindaco monarchico, armatore e presidente del Napoli Calcio. Parallelamente, la Camorra si infiltrava nell'organizzazione del contrabbando, nelle attività di protezione e mediazione (soprattutto nei mercati ortofrutticoli), oltre a poter contare su una vasta rete di rapporti con la Pubblica Amministrazione dovuti al suo peso elettorale: molto spesso, infatti, la contropartita per un pacchetto di voti era l'assunzione di persone vicine all'organizzazione negli uffici pubblici.

Il primo salto di qualità della Camorra si ha agli inizi degli anni '60 con il contrabbando di sigarette: con la chiusura del porto franco di Tangeri (1956), i depositi di tabacco vennero spostati nei porti jugoslavi ed albanesi da dove, transitando per la Puglia, le casse di sigarette di contrabbando arrivavano a Napoli, che divenne uno dei principali mercati del Mediterraneo. Per un decennio i camorristi napoletani svolsero un ruolo secondario nel traffico, occupandosi dello sbarco, dei magazzini e della vendita al dettaglio. La crisi di Cosa Nostra siciliana, dopo la repressione messa in moto dallo Stato dopo la Strage di Ciaculli, contribuì all'affermazione di Napoli nel traffico internazionale di tabacco. Ciononostante, i camorristi non sono in grado di proiettarsi su scala internazionale, come aveva fatto Cosa Nostra.

La situazione cambiò agli inizi degli anni '70, quando l'istituto del soggiorno obbligato portò molti mafiosi siciliani in Campania: fu l'inizio della collaborazione tra Cosa Nostra e clan camorristici. La guerra tra mafiosi siciliani e marsigliesi per il controllo di Napoli (1971-1973), vinta dai primi, portò poi tra le fila di Cosa Nostra boss del calibro di Michele e Salvatore Zaza, Angelo e Lorenzo Nuvoletta, Raffaele Ferrara ed Antonio Bardellino. La nuova alleanza, inaugurata nel 1974 e suggellata da un incontro nella tenuta dei Nuvoletta a Poggio Vallesana a cui partecipano Pippo Calò, Totò Riina, Bernardo Brusca, Tommaso Spadaro, Nunzio La Mattina, Nicola Milano e i catanesi Pippo e Antonio Calderone. Dopo cinque anni di affari, la "società" venne sciolta consensualmente per l'interesse di entrambe le controparti verso il traffico di stupefacenti.

Già a metà degli anni '70 era attivo a Napoli un trafficante internazionale di cocaina, Umberto Ammaturo, prima in affari con Luigi Grieco (detto 'o sciecco), eliminato dai siciliani, poi con gli Zaza. Il salto definitivo di qualità nella gerarchia internazionale della criminalità mafiosa fu dato quindi dal narcotraffico: Napoli, grazie alla minore attenzione delle autorità e al minore allarme sociale, diventò la piazza principale dello smercio di droga. Il continente privilegiato era l'America Latina, la merce preferita commerciata la cocaina: i clan camorristici acquistarono in questo periodo una dimensione internazionale impensabile fino a dieci anni prima.

Con i suoi tre milioni e mezzo di abitanti, l'area metropolitana di Napoli diventò un enorme mercato di consumo di eroina e cocaina. Le prime famiglie ad occuparsi del nuovo traffico illegale sono le stesse del contrabbando di sigarette, poi emergono nuovi clan (i Cozzolino, i Mauro): Hashish e cocaina raffinate a Palermo arrivavano a Napoli sin dal 1977. Gli enormi profitti generati dal narcotraffico permisero ad alcune famiglie, come i Nuvoletta, di entrare nel traffico di armi, trattando addirittura una partita di carri armati Leopard con la Germania.

Cutolo e la Nuova Camorra Organizzata

Raffaele Cutolo
Raffaele Cutolo, nell'aula bunker di Napoli, agli inizi degli anni '80 (Archivio l'Unità)

A scompaginare gli equilibri camorristici in Campania creatisi con la proficua collaborazione tra i clan della Camorra e Cosa Nostra ci pensò Raffaele Cutolo, detto 'o professore. In ottimi rapporti con i boss della 'ndrangheta Giuseppe Piromalli, Salvatore Mammoliti, Paolo De Stefano, Egidio Muraca e Francesco Cangemi, dopo aver eliminato per loro il vecchio boss Mico Tripodo nel carcere di Poggioreale, segue il loro consiglio di creare una sua associazione criminale per non lasciare troppo spazio ai siciliani in Campania.

Fu così che nacque la Nuova Camorra Organizzata: dapprima prestò assistenza ai giovani sbandati finiti in galera, poi giustificò le estorsioni con la necessità di garantire supporto ai carcerati che, una volta tornati in libertà, diventavano a loro volta estorsori e reclutatori per l'organizzazione. La forza di Cutolo fu quella di fare dell'affiliazione alla NCO una vera e propria filosofia di vita, fondata sulla riscossa sociale delle classi subalterne campane. Con oltre 7mila affiliati, la NCO ha rappresentato un unicum nella storia criminale del fenomeno mafioso.

La guerra tra Cutolo e i suoi avversari (riunitisi nel cartello della Nuova Famiglia) fece da sfondo a un evento assai redditizio per i clan della Camorra, il Terremoto dell'Irpinia del 1980. La ricostruzione, tutt'oggi rimasta incompiuta, avrebbe fagocitato centinaia di miliardi di lire, finiti a finanziare i clan. Il confronto armato tra la NCO e la NF durò cinque anni e lasciò a terra circa 1500 morti. La guerra scatenata da Cutolo con l'imposizione di una sua tassa personale sulle casse di sigarette sbarcate in Campania accelerò la crisi del contrabbando di tabacco, contribuendo allo spostamento del core business della Camorra sul narcotraffico.

Contemporaneamente alla guerra di camorra, imperversava a Palermo la Seconda Guerra di Mafia, che avrebbe visto vittoriosi i Corleonesi. La fine di Cutolo e della sua organizzazione si ebbe soprattutto al suo trasferimento nel super-carcere dell'Asinara, preteso dall'allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. Senza più il capo sul territorio, i suoi luogotenenti vennero eliminati uno a uno, finché la NCO non si dissolse completamente, abbandonata dai servizi segreti nonostante il ruolo svolto nella liberazione di Ciro Cirillo, sequestrato dalle Brigate Rosse.

Lo scontro tra i vincenti: i Bardellino-Alfieri vs i Nuvoletta

Nel processo di dissoluzione della NCO, molti clan passarono con la fazione vincente e cominciò ad emergere la figura di Carmine Alfieri. Nel frattempo, i Bardellino avevano rotto con i Nuvoletta, divenuti gli unici referenti dei Corleonesi in Campania. Il nuovo scontro, che rischiava di essere ancora più sanguinoso di quello appena concluso, riguardava il controllo delle attività imprenditoriali del dopo-Terremoto. Tra stragi e morti ammazzati (tra cui il giovane cronista del Mattino Giancarlo Siani), l'epilogo della vicenda avrebbe portato ad un rafforzamento del clan di Carmine Alfieri, che a metà degli anni '80 era oramai il più potente della Campania.

Anni '90: l'avanzata dei Casalesi

Il 1991 fu un anno di svolta nella lotta alle organizzazioni mafiose: con Giovanni Falcone chiamato dal neo-ministro della giustizia Martelli a dirigere gli Affari Penali del ministero, vennero adottate dal Governo Andreotti tutta una serie di risoluzioni che avrebbero reso più efficace la lotta alla mafia. Nell'autunno 1991 venne sciolto il consiglio comunale di Poggiomarino per infiltrazione camorristica, feudo di Pasquale Galasso, capo dei gruppi di fuoco del Clan Alfieri, il quale venne arrestato l'anno dopo dai carabinieri, grazie alla soffiata di alcuni faccendieri. Lasciato solo dal capo del suo Clan, Galasso decise di collaborare con la giustizia: le sue dichiarazioni scoperchiarono il quadro socio-politico-camorristico che reggeva le amministrazioni del nolano, delle aree stabiese e vesuviana, l'agro sarnese-nocerino e altre zone della Campania tra gli anni '80 e '90.

Un mese dopo la decisione di collaborare di Galasso, i carabinieri arrestarono Carmine Alfieri, che optò anche lui per la collaborazione nel giugno 1993, interrotta a seguito del sequestro del figlio e ripresa subito dopo. Quel che emerse dalle indagini fu la radicata complicità istituzionale nei vari tentativi di eliminare Galasso e Alfieri[4], in seguito alla loro decisione di collaborare.

In questo frangente si rafforzò l'egemonia dei Casalesi, dominus della provincia di Caserta. A metà degli anni '90 i Casalesi erano diventati il clan dominante in Campania, grazie al controllo di due settori fondamentali, lo smaltimento dei rifiuti tossici provenienti dal Nord e l'attività edilizia negli appalti pubblici, in particolare nei cantieri dell'Alta Velocità. Su questa vicenda i tre protagonisti che si caricarono sulle spalle il peso della denuncia furono tre casertani: Rosaria Capacchione, cronista de "Il Mattino", Lorenzo Diana, senatore del PdS, e Ferdinando Imposimato, senatore indipendente del gruppo dei Progressisti.

Il Processo Spartacus: i Casalesi alla sbarra

Intanto nell'estate del 1995 la Procura Antimafia di Napoli aveva concluso la lunga e complessa indagine sui Casalesi e spiccò 143 ordinanze di custodia cautelare, in concomitanza con un blitz che coinvolse tremila tra agenti di polizia e carabinieri. Molti, a partire da Francesco Schiavone detto Sandokan, capo indiscusso del Clan, sfuggirono all'arresto. Una cinquantina di Casalesi finirono però in carcere: tra questi anche lo scissionista Nunzio De Falco, che dalla Spagna aveva ordinato l'omicidio di Don Peppe Diana. Iniziato nel 1998, il Processo Spartacus si concluse in primo grado nel 2005, in appello nel 2008 e in Cassazione il 15 gennaio 2010. Tra le condanne, venne confermato l'ergastolo per Schiavone (arrestato nel 1998), Bidognetti, Zagaria, Mario Caterino e molti altri.

La Camorra del Duemila: nasce "O Sistema"

La Camorra del XXI secolo si è dimostrata perfettamente in grado di inserirsi nei traffici internazionali e di sfruttare la globalizzazione per aumentare il proprio peso, anche al di fuori degli originali contesti di insediamento. Falliti i vari progetti di unitarietà, i Clan di Camorra dominano sui loro territori senza una strategia comune.

Agli inizi del Terzo Millennio la Camorra a Napoli divenne "'O Sistema": un insieme di relazioni e attività criminali governato in autonomia da ogni grosso Clan, che si occupava degli affiliati e delle loro famiglie dalla culla alla tomba. La Camorra non era più delinquenza urbana, ma era impegnata in affari economici e finanziari di vario tipo: aveva differenziato "il portafoglio" delle proprie attività.

Negli anni '90 si era andata consolidando poi in città e nell'area metropolitana napoletana un cartello che univa molti clan attivi tra il centro e le aree orientale e settentrionale: l'Alleanza di Secondigliano, dal nome del vasto quartiere controllato dal fondatore, Gennaro Licciardi, 'a scigna (la scimmia).

La Struttura

Rispetto alla Camorra delle origini, la Camorra del Duemila ha una struttura pulviscolare, con centinaia di famiglie o clan sparsi per il territorio che formano e rompono alleanze a seconda delle convenienze. L'unica parentesi in cui parve che la Camorra potesse darsi una struttura unitaria fu ai tempi della faida tra la Nuova Camorra Organizzata e la Nuova Famiglia, ma come abbiamo visto, dopo la vittoria, quest'ultima si dissolse quasi subito, scatenando altre faide tra gli ex-alleati. Persino nei cartelli dove la struttura era verticistica e fortemente gerarchizzata (come quello dei Casalesi o nell'Alleanza di Secondigliano), negli anni sono sorte faide in seno agli stessi cartelli.

La città di Napoli, da sola, rappresenta al meglio la frammentazione dei clan camorristici. Nei quartieri a Nord della città (Secondigliano, Scampia, Piscinola, Miano, Chiaiano) domina l'Alleanza di Secondigliano, un cartello composto dai Licciardi, i Contini, i Prestieri, i Bocchetti, i Bosti, i Mallardo, i Lo Russo, gli Stabile e i Di Lauro quali garanti esterni (gli uomini di "Ciruzzo 'o milionario" hanno fatto da mediatori tra le varie famiglie, prevenendo possibili faide). Il 7 gennaio 2008 le forze dell'ordine arrestarono Vincenzo Licciardi, considerato il capo dell'alleanza.

Nel Centro Storico e a Forcella resta ben salda l'alleanza tra i clan Misso, Sarno e Mazzarella, che controllano tutta l'area Est di Napoli, dal centro fino al quartiere periferico di Ponticelli, facilitati anche dalla debacle del clan Giuliano di Forcella, i cui maggiori esponenti (i fratelli Luigi, Salvatore e Raffaele Giuliano) sono diventati collaboratori di giustizia. Nei "Quartieri Spagnoli", dopo le faide di inizio anni novanta tra i clan Mariano (detti i "picuozzi") e Di Biasi (detti i "faiano"), e tra lo stesso clan Mariano e un gruppo interno di scissionisti capeggiato dai boss Salvatore Cardillo (detto "Beckenbauer") e Antonio Ranieri (detto "Polifemo", poi ammazzato), la situazione sembra essere tornata in un clima di relativa normalità.

Anche la zona occidentale della città (Rione Traiano, Pianura, Vomero) è flagellata da almeno quattro clan, mentre nei quartieri di Fuorigrotta, Bagnoli, Agnano e Soccavo domina il cartello Nuova Camorra Flegrea, fortemente indebolito però da un blitz del dicembre 2005, grazie alle rivelazioni del pentito Bruno Rossi, "il Corvo di Bagnoli". Famoso è poi l'omicidio a Pianura di Paolo Castaldi e Luigi Sequino, durante la faida tra i i Lago e i Contino-Marfella: i due ragazzi poco più che ventenni furono uccisi per errore da un gruppo di fuoco del clan Marfella, perché stazionavano sotto la casa di Rosario Marra, genero del capoclan Pietro Lago.

L'unica provincia che eguaglia Napoli per l'influenza della Camorra sul territorio è Caserta, dominata dal Clan dei Casalesi. Va sottolineata la scarsa o ininfluente presenza della Camorra nelle aree interne della Campania: nel Cilento, nel Vallo di Diano, negli Alburni, nell'Alta Irpinia e nel Beneventano, dove storicamente era presente il fenomeno del brigantaggio, non vi sono attualmente enclave camorristici. Questo è dato dal fatto che la Camorra, in quanto criminalità urbana, non è mai stata legata al latifondo, come invece Cosa Nostra in Sicilia.

Differenze con Cosa Nostra

Le differenze tra la Camorra e Cosa Nostra sono rintracciabili sotto il profilo della:

  • Struttura: la struttura frammentata, "pulviscolare", orizzontale, della Camorra si contrappone a quella gerarchica-verticistica di Cosa Nostra. La Camorra non ha una Cupola, né su base comunale, né provinciale, né tanto meno regionale; non ha alcuna struttura verticale di comando, di coordinamento o di condizionamento sui singoli Clan; non ha una Commissione che appiani eventuali controversie tra Clan, che affronti eventuali pericoli comuni o un'azione repressiva dello Stato particolarmente intensa. La frammentazione della Camorra è apparsa più congeniale alla stessa configurazione urbanistica di Napoli e del suo hinterland.
  • L'uso della violenza: la struttura della Camorra le ha impedito di regolare l'uso della "violenza" e asservirla al "buon andamento degli affari". Per Cosa Nostra, che pure è stata protagonista dei più eclatanti eccidi della storia, l'uso continuativo della violenza è antieconomico, da praticare solo in situazioni estreme. Per i Clan della Camorra invece il delitto è lo strumento privilegiato per risolvere contrasti, senza alcuna analisi delle sue implicazioni a livello politico, sociale o economico. Se la strategia di Cosa Nostra, soprattutto dopo le stragi del '92-'93, è stata quella di fare affari riducendo i morti, i camorristi non sanno fare affari senza ammazzare.
  • La longevità dei boss, il facile reclutamento: nella Camorra è raro trovare capiclan di una certa età che esercitano il potere come i boss di Cosa Nostra: la struttura frammentaria determina un potere meno strutturato, quindi meno stabile e più facile all'assalto di nuove leve, che storicamente hanno tolto di mezzo i vecchi boss per spianare la propria strada criminale (basti guardare la successione ai vertici dei Casalesi, con l'eliminazione di Antonio Bardellino). Inoltre, l'arruolamento è molto più semplice, i nuovi adepti vengono reclutati direttamente dalla strada, senza troppe selezioni, come invece è sempre avvenuto in Cosa Nostra.
  • La mancata saldatura tra città e provincia: se in Cosa Nostra addirittura i "viddani" di Corleone erano riusciti a scalzare le potenti famiglie palermitane, conquistando il potere assoluto nell'organizzazione, la saldatura tra i clan napoletani e quelli di provincia non vi sarà mai, né un Clan di provincia è mai riuscito a imporsi su quelli di città.
  • Il rapporto con la politica e le istituzioni: le relazioni con esponenti delle istituzioni sono molto più sfacciati e alla luce del sole di quelli intrattenuti in oltre sessant'anni di democrazia da Cosa Nostra. La Camorra bruciò le tappe, negli anni '80, facendo eleggere direttamente sindaci e consiglieri comunali tra le fila dell'organizzazione, fenomeno che in Cosa Nostra non c'è mai stato, con l'eccezione di Salvo Lima e di Vito Ciancimino. Il camorrista ha sempre puntato a sommare su di sé le cariche di criminale, politico e imprenditore. Lo Stato per la Camorra è un distributore di risorse e il rapporto con la politica è di tipo mercenario, non vi è mai stata la totale integrazione dei vertici camorristici con la classe dirigente della città, come nel caso di Cosa Nostra.

Clan

In attività

Abate · Abbinante · Belforte · Cava · Contini · D'Alessandro · Di Biasi · Di Lauro · Fabbrocino · Farina · Gionta · Graziano · Lago · Licciardi · Lo Russo · Mallardo · Mariano · Marrazzo · Mazzarella · Moccia · Misso · Nuvoletta · Pariante · Perrella · Puccinelli · Ricci · Russo di Nola · Russo dei Quartieri Spagnoli · Sarno · Vollaro

Scomparsi

Alfieri · Alfano · De Luca Bossa · Giuliano · Galasso di Poggiomarino

Cartelli

In attività

Alleanza di Secondigliano · Casalesi · Cartello dei Misso-Mazzarella-Sarno · Scissionisti

Scomparsi

Nuova Camorra Organizzata · Nuova Famiglia · Nuova Camorra Pugliese · Nuova Camorra Flegrea · Camorra Newyorkese

Economia e Attività Criminali

L'economia della Camorra si regge anzitutto sul narcotraffico, che rappresenta la parte più consistente dei suoi introiti. Il ricorso sistematico all'attività estorsiva e all'usura, all'inserimento negli appalti pubblici, il traffico d'armi e la commercializzazione di prodotti contraffatti (fenomeno datato e diffuso che si è avvantaggiato della crisi economica del 2007-2008) costituiscono un'altra fetta importante dei profitti dei Clan.

Nella seconda metà del 2013[5], la DIA ha rilevato inoltre un ritorno all'attività di contrabbando di sigarette, soprattutto a Napoli, nei quartieri della Duchesca e della Sanità, mentre vi è un sempre maggior interesse nei c.d. "Compro Oro", utilizzati per reinvestire e riciclare denaro sporco. Anche il settore del gioco d'azzardo e delle scommesse è utilizzato come canale di riciclaggio, soprattutto dai clan del casertano. Lo smaltimento di rifiuti tossici continua ad essere un business molto redditizio, nonostante le indagini e le rivelazioni sulla Terra dei Fuochi.

Il condizionamento di interi settori dell'economia legale è favorito inoltre dagli effetti della crisi economica: le piccole e medie imprese, vedendosi negare prestiti dalle banche, si rivolgono ai Clan, che applicano interessi da usurai, in modo da impossessarsi delle imprese stesse e operare direttamente sui mercati legali. L'investimento nel campo della ristorazione e dei beni immobili è ampiamente utilizzato per ripulire facilmente il denaro sporco delle varie attività illegali.

Rapporti con la Politica

Come ogni organizzazione mafiosa, anche la Camorra deve la sua sopravvivenza ai suoi rapporti organici con la politica. Durante la c.d. Prima Repubblica, il rapporto privilegiato era da individuare nella Democrazia Cristiana, come dimostrano i fatti della ricostruzione, dopo il Terremoto dell'Irpinia del 1980[6]. In grado di condizionare le elezioni locali, grazie ai pacchetti di voti che controllano, i Clan hanno sfruttato quest'arma che li rende strategici nel mercato elettorale per governare il territorio e controllare gli appalti pubblici. Va ricordato, inoltre, che la Campania guida la classifica delle regioni con il maggior numero di scioglimenti di Comuni per infiltrazione mafiosa[7].

Fatti Principali

Stragi

Faide

Per saperne di più

Cinema

Televisione

  • Il Clan dei Camorristi, di Alexis Sweet (2013)
  • Per amore del mio popolo, di Antonio Frazzi (2014)
  • Gomorra - La serie, di Stefano Sollima (2014)

Note

  1. Marc Monnier, La camorra: notizie storiche raccolte e documentate, Firenze, G. Barbera, 1862
  2. Francesco Montuori, Lessico e Camorra, Napoli, Fridericiana Editrice Universitaria, maggio 2008
  3. Marc Monnier, La camorra: notizie storiche raccolte e documentate, Firenze, G. Barbera, 1862
  4. Barbagallo, p.179
  5. Direzione Investigativa Antimafia, Seconda Relazione Semestrale 2013, p.86
  6. Vedi al riguardo Corte dei Conti, La gestione dei fondi per il terremoto in Irpinia e Basilicata, in relazione al rifinanziamento di cui alla legge 27 dicembre 2006, n. 296 ( legge finanziaria 2007), luglio 2008
  7. Fonte: Direzione Nazionale Antimafia, relazione annuale 2013

Bibliografia

  • Allum, Percy (1975). Potere e Società a Napoli nel dopoguerra, Torino, Einaudi.
  • Barbagallo, Francesco (2010). Storia della Camorra, Bari, Editori Laterza.
  • Commissione Parlamentare Antimafia (1993). Rapporto sulla Camorra, Roma, l’Unità, 21 dicembre.
  • Dickie, John (2012). Onorate Società, Roma-Bari, Editori Laterza.
  • Sales, Isaia (1988). La Camorra, Le Camorre, Roma, Editori Riuniti.